di Alain de Benoist
Fonte: Arianna Editrice
Le società antiche capivano che non c’è vita sociale possibile senza considerare l’ambiente naturale. Citando Catone («Piantar l’albero per chi seguirà»), Cicerone scrive nel De senectute: «Alla domanda “Perché lo pianti?”, risponde senza esitare: “Gli Dei immortali vogliono che ereditare dagli ascendenti non mi basti, ma che anche trasmetta ai discendenti” (7, 24). La riproduzione durevole è stata infatti regola d’ogni cultura fino al XVIII secolo. Ogni contadino di una volta era un inconsapevole esperto in «sostenibilità». Ma anche i poteri pubblici spesso lo erano: Colbert regolava il taglio dei boschi per la ricostituzione delle foreste, facendo piantare querce che dessero legno alle navi trecento anni dopo.
I moderni hanno agito all’inverso, comportandosi come se le «riserve» naturali fossero moltiplicabili all’infinito – come se il pianeta, in ogni sua dimensione, non fosse uno spazio finito. In ogni attimo del presente hanno impoverito l’avvenire, consumando a oltranza il passato.
Il XX secolo è stato definito in vari modi: come secolo dell’ingresso nell’era atomica, della decolonizzazione, della liberazione sessuale, degli «estremi» (Eric Hobsbawm), della «passione del reale» (Alain Badiou), del trionfo della «metafisica della soggettività» (Heidegger), della tecnoscienza, della globalizzazione, ecc. Il XX secolo è stato certo tutto questo. Ma è anche il secolo dell’apogeo del consumismo, della devastazione del pianeta e, per contraccolpo, della preoccupazione ecologica. Per Peter Sloterdijk, che caratterizza la modernità col «principio sovrabbondanza», il XX secolo è stato innanzitutto il secolo dello spreco. Scrive: «Mentre, per la tradizione, lo spreco era il peccato per antonomasia contro lo spirito di sussistenza, mettendo in gioco la riserva sempre insufficiente di mezzi di sopravvivenza, un profondo cambio di senso è avvenuto attorno allo spreco dell’era delle energie fossili: si può dire che oggi lo spreco sia il primo dovere civico. Il divieto di frugalità, che ha sostituito il divieto di spreco, s’esprime nei costanti appelli per sostenere la domanda interna».Non si confonda lo spreco con la spesa ostentata, già tipica delle vecchie aristocrazie. Infatti essa non si separava mai da un elemento di gratuità e generosità, totalmente mancante nella società mercantile attuale. Adam Smith definiva ancora lo spreco come un cedere alla «voglia di godere l’istante». E nella vecchia borghesia la frugalità era ancora un valore cardinale, come elemento d’accumulazione del capitale. Col capitale che s’alimenta da solo, come oggi, e crea sempre nuovi valori, da tempo il tappo è saltato. L’obsolescenza programmata dei prodotti è l’uno dei principi dello spreco.
All’inizio del XXI secolo, che s’annuncia come il secolo dove il «fluido» (Zygmunt Bauman) tende a sostituire ovunque il solido – come l’effimero sostituisce il duraturo, come le reti sostituiscono le organizzazioni, le comunità le nazioni, i sentimenti transitori le passioni di un’intera vita, gli impegni puntuali le vocazioni immutabili, gli scambi nomadi i rapporti sociali radicati, la logica del Mare (o dell’aria) quella della Terra -, si constata che l’uomo avrà consumato in un secolo riserve costituite dalla natura in trecento milioni d’anni. Se ne traggano le conclusioni.