La follia e la sapienza: il viaggio dei greci ai confini dell’anima

di Eva Cantarella

 Fonte: Corriere della Sera 5 maggio 2010

 Come scrive Eraclito in un suo famoso frammento: «Per quanto tu cammini per ogni via, i confini dell’anima non li troverai». Per i Greci la follia fu appunto un mezzo per esplorare questi confini. Ma la nozione di follia (manìa) andava oltre la dimensione della patologia. «La follia è tanto superiore alla sapienza (scriveva Platone nel Fedro) in quanto la prima viene dagli dei, la seconda dagli uomini». Non tutte le forme di follia, s’intende: solo la follia che giunge «per dono divino». Ma qual è questa «divina follia»?

Platone lo spiega poco dopo: quella del poeta ispirato che scopre in sé improvvise energie creative, quella del profeta che spinge lo sguardo nell’invisibile, quella di Dioniso che consente di entrare in uno stato mentale che i Greci definivano estasi, in cui un uomo percepisce di avere «un dio dentro di sé», e infine («la migliore di tutte» precisa Platone) la follia di Amore, che porta l’anima vicino alla sua vera natura. Così, per i Greci la follia assumeva una duplice faccia: da un lato malattia della mente, dall’altro potenziamento della personalità. Per i Greci del V secolo a.C. era un’ alterazione della psiche. Ma il significato di psyche era in origine diverso. In Omero, la psiche era il soffio vitale che al momento della morte abbandonava il cadavere. La concezione di psiche come «anima» o «mente» si sviluppò a seguito di un’ evoluzione alla quale contribuirono correnti religiose e saperi laici (in particolare filosofia e medicina). Alla fine, la psiche divenne la realtà interiore in cui si concentra la vera identità di un individuo: una concezione che da Platone passa al Cristianesimo. Nella Grecia arcaica l’alterazione della coscienza aveva uno spazio importante nella dimensione della religione, all’ interno di istituzioni come il santuario di Apollo a Delfi, ove si praticava la divinazione estatica; o nei rituali di trance, di cui il culto di Dioniso rappresenta solo l’aspetto più noto e impressionante. Fu la cultura del secolo illuminista di Pericle e di Socrate a separare dalla sfera della conoscenza una serie di esperienze di confine quali la possessione, l’estasi e altri stati subliminali, per relegarle nel limbo delle manifestazioni irrazionali. A partire da allora, ragione e follia iniziarono a essere considerati aspetti alternativi della personalità: ogni uomo – scrive Platone – combatte una guerra contro se stesso e spesso a perdere è la ragione. Per i Greci, però, la follia non era solo il sonno della ragione: era anche un mezzo per esplorare le manifestazioni estreme e inquietanti della natura umana. Tutto ciò che di più insondabile e oscuro si agita nell’ anima di un essere umano è tra i temi centrali della tragedia: il dramma di Eracle o di Medea che uccidono i figli pur amandoli, la violenza autodistruttiva di Aiace, i fantasmi di Oreste e di altri personaggi ai quali si può applicare la frase di Sofocle: «Un bene sembra un male a un uomo la cui mente è accecata da un dio». A differenza di quanto sarebbe accaduto nella società europea moderna, la Grecia non conobbe la  reclusione dei folli: i greci seppero convivere con loro, elaborando forme di controllo dell’ alienazione mentale all’ interno della società, attraverso la reintegrazione e non l’esclusione. L’organizzazione logica, scientifica ed etica dell’ esperienza – la gloria della Grecia – nacque per confronto col mondo  ella non ragione. Dal mito al logos: questa è una delle tradizionali chiavi di lettura della civiltà greca, ma si tratta di una semplificazione. In realtà mito e logos sono intrecciati lungo il percorso di quella cultura, come pure ragione e follia. Sono profonde le fratture nella storia della follia in Occidente, sono molte e molto interessanti le cose che racconta Giulio Guidorizzi in questo bel libro, il primo in italiano a tracciare una storia della follia nel mondo greco (Ai confini dell’ anima. I greci e la follia, Raffaello Cortina editore, pp. 225, 19): un libro che stimola importanti riflessioni non solo sull’ antichità, ma anche sul presente, su di noi e il nostro rapporto con la follia.