NUOVE FRONTIERE DELLA SCUOLA: DIDATTICA LABORATORIALE E ALTERNANZA SCUOLA/LAVORO

dal Comunicato UCIIM del 15 febbraio 2010

Tra i punti di forza della Scuola firmata Gelmini si rilevano:

  • un più stretto collegamento con l’Università e l’Alta Formazione, con il mondo del lavoro, attraverso stage, tirocini, alternanza scuola-lavoro, e col territorio;
  • un apprendimento sempre più legato al modo di apprendere delle nuove generazioni attraverso esperienze concrete, con un utilizzo maggiore dei Laboratori (ove presenti, aggiornati e utilizzabili), in modo da rendere la scuola un centro d’innovazione permanente.

Vengono posti, dunque, al centro della Riforma: esperienza sul campo, valorizzazione dei bisogni degli studenti, ricerca, indagine critica.

In tal senso, il nuovo panorama che si apre dinanzi agli operatori dell’Istruzione sembra quello di una scuola in cui il laboratorio e il rapporto con il lavoro diventano pilastri portanti del progetto formativo.

La didattica laboratoriale, come indicato nei documenti della Riforma, parte da problemi; non prevede accumulo di nozioni; rispetta stili di apprendimento diversi; prevede un progetto; implica apprendimento e didattica cooperativi; prevede una relazione tra chi impara e chi insegna.

L’alternanza scuola/lavoro è un’opportunità utile al successo formativo e all’orientamento.

I percorsi in alternanza, infatti, se coerenti con i piani di studio, possono essere una straordinaria forma di rafforzamento delle conoscenze e di miglioramento delle abilità relative all’area dei saperi scolastici, possono stimolare scelte che sono di aiuto all’allievo per riconoscersi e orientarsi con maggior autonomia.

La progettazione della didattica laboratoriale, come quella dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, sposta la centralità operativa dalle discipline alle competenze.

Gli studenti dei Licei, degli Istituti tecnici e degli Istituti professionali potranno, così, acquisire, oltre alle conoscenze e alle competenze di base, anche le competenze spendibili nel mercato del lavoro.

Troppo Internet porta alla depressione

Fonte: Corriere della Sera

Monitor PCL’utilizzo eccessivo di internet potrebbe causare depressione. Ma potrebbe essere anche il contrario: cioè chi è già più incline alla depressione è maggiormente spinto a passare molte ore sul web. È il risultato di uno studio pubblicato sulla rivista Psychopathology. Gli esperti dell’Università di Leeds hanno intervistato 1.319 persone tra 16 e 51 anni raccogliendo dati sul loro uso di internet e valutando la presenza e l’entità di sintomi depressivi; l’1,2% del campione è risultato affetto da dipendenza da web ed è emerso che l’essere connessi per un tempo eccessivo è associato a sintomi depressivi. È possibile che chi usa troppo internet al punto da sostituire le relazioni sociali reali con quelle virtuali sia più a rischio isolamento e depressione.

DEPRESSIONE – «La nostra ricerca indica che l’uso di internet è associato a depressione», spiega Catriona Morrison, che ha guidato lo studio, «ma ciò che non sappiamo è se c’è un meccanismo di causa-effetto, ovvero se internet causa la depressione o se invece chi è depresso tende a collegarsi di più al web. Quello che invece è chiaro», aggiunge Morrison, «è che per un piccolo sottogruppo di persone l’eccessivo utilizzo del web potrebbe essere una spia allarmante di una tendenza alla depressione».

GIOVANI – Nel corso della ricerca il gruppo di lavoro ha controllato giovanissimi, ragazzi ma anche adulti che usano la Rete per lavoro. Scoprendo che a rischiare di cadere nella trappola della dipendenza sono più spesso i più giovani: l’età media del gruppo degli «intossicati» è infatti di 21 anni. La ricerca «rinforza i timori già sollevati dagli esperti: farsi prendere troppo dai siti web fino a sostituire le normali funzioni sociali potrebbe essere collegato a problemi piscologici come, appunto, depressione e dipendenza», dice la ricercatrice. Inoltre se appena l’1,2% dei soggetti monitorati è risultato «drogato» del web, il problema comunque ha un’incidenza maggiore rispetto ad esempio al gioco d’azzardo patologico, che in Gran Bretagna è dello 0,6%.