La parrocchia è sicuramente la struttura più significativa nella vita del credente: è nella parrocchia che uno celebra i momenti più importanti dell’esistenza (nascita, matrimonio, morte), è nella parrocchia che si trovano i preti quando se ne ha bisogno, è nell’oratorio che si trascorrono gli anni dell’infanzia, è in chiesa che avviene (settimanalmente) l’incontro con il Cristo nella Parola e nell’Eucaristia. Nel contempo l’istituzione parrocchiale in questi ultimi decenni sembra perdere terreno: diminuisce la frequenza ai sacramenti, la cristianizzazione si diffonde sempre più, la vita si svolge in luoghi (scuola, fabbrica, …) lontani dal campanile; la vita stessa di fede avviene lontano dalla parrocchia o comunque non seguendo la comune divisione territoriale. Cercheremo in questo articolo di mettere in luce gli aspetti positivi e negativi della struttura in questione nell’intento di offrire uno strumento per la sua analisi e un sussidio per la prassi pastorale.
Etimologia della parola ‘parrocchia’ – Il verbo greco karikšw significa sia “abitare accanto”, sia “abitare come forestieri” in una città; con questo significato appare nei primi documenti cristiani e indica la comunità locale (I lettera di Clemente Romano ai Corinti, fine I sec.). Fino al III secolo il termine comporta il duplice significato di assemblea locale e di estraneità nei confornti del mondo (valenza escatologica); Origene in Contra Celsum, III, 29 afferma che la chiesa di Cristo, in paragone agli assembramenti dei popoli fra cui dimorano (paroikein) sono come fari nel mondo. nella seconda metà del IV secolo, la parola paroecia si riduce a un valore puramente amministrativo e indica la diocesi; nel VI secolo essa è sinonima di diocesis. Dal VI secolo in poi la parola ‘parrocchia’ acquisisce il significato attuale (cfr. C. Dillenschneinder, Il parroco e la sua parrocchia, Bologna, 1966, pp. 15 – 17). come si vede il termine originariamente aveva un profondo significato teologico, che però scompare quando viene usato in campo amministrativo.
Storia dell’istituzione ‘parrocchia’ – Cercheremo ora di riproporre la storia dell’istituzione ‘parrocchia’ per ricavarne alcuni principi teologici.
Le parrocchie come decentramento delle diocesi apparvero già sul finire del IV secolo, soprattutto nel Nord – Italia in quanto la diffusione del cristianesimo in ambiente rurale non permetteva a tutti i fedeli di recarsi presso la chiesa cattedrale (nel centro urbano) e quindi si redenta necessaria l’istituzione di altri luoghi di culto decentrati. Queste chiese, chiamate pievi, avevano anche facoltà di battezzare (erano anche chiamate chiese battesimali). possedevano un loro cimitero e il diritto di esigere decime dai fedeli; questo processo di espansione del cristianesimo lontano dalle città continuerà fino al 1100 (soprattutto nelle vallate alpine). Nel Meridione invece non abbiamo questo fenomeno a causa sia dell’esistenza di molte città romane e quindi di molte sedi episcopali, sia della poca diffusione del messaggio cristiano in ambito rurale.
Nel periodo feudale assistiamo a un progressivo inglobamento della struttura parrocchiale nel rigido sistema economico con l’istituzione da parte di privati di cappelle dipendenti dalla pieve, in alcuni case avevano un proprio reggente, vi veniva celebrata la messa nelle festività minori, ma non avevano sotto di sé una porzione del territorio plebano. Nel momento in cui queste chiese erano fondate da un privato (laico, feudatario, chierico), egli accampava diritti di proprietà non solo sugli edifici e sulle terre beneficiali, ma cercava di usurpare le funzioni ecclesiastiche della chiesa battesimale con le relative rendite. Inoltre dal secolo X i vescovi cedettero in feudo molte pievi ai loro vassalli, comprese terre e rendite, in cambio dell’impegno di provvedere al sostentamento del clero ivi in cura d’anima.
fu con la riforma gregoriana (sec. X) che si contrastò tale fenomeno condannando il possesso da parte di laici di istituzioni ecclesiastiche e promovendo una riforma della vita del clero favorendo fra l’altro la vita comune dei chierici sotto una regola canonicale presso le pievi; queste comunità dovevano raccogliere tutti i ministri officianti nelle cappelle. Dal secolo XII la struttura parrocchiale tese a delinearsi maggiormente: le cappelle rurali assunsero man mano le funzioni di cura d’anime fra cui la possibilità di avere il cimitero e di riscuotere le decime, mentre dovettero attendere fino al XIV secolo la facoltà di amministrare il battesimo; in città invece si assistette a una frantumazione del territorio cittadino in varie parrocchie, lasciando però la facoltà di battezzare alla chiesa cattedrale. Questi sviluppi ebbero come conseguenza un declino delle pievi a favore delle parrocchie che si rendevano sempre più autonome rispetto alle stesse pievi. Le cause di questo processo iniziatosi sul principio del XII secolo furono molteplici; ne ravvisiamo alcune: declino della vita comunitaria a causa della divisione delle rendite della comunità canonicale in prebende individuali; la nascita degli ordini mendicanti (sec. XIII), che non legavano i singoli religiosi a un luogo, ma permettevano loro una cura d’anime ‘itinerante’; uno sconvolgimento delle millenarie strutture sociali: trasferimento dell’asse dalla campagna alla città e spostamento dalle vie di comunicazione (rivoluzione stradale = fine sec. XIII).
Bisogna però attendere fino al Concilio di Trento per vedere realizzata una vera sistemazione delle condizioni del ministero pastorale della parrocchia. Essa venne definita come una porzione determinata della diocesi dotata di una chiesa propria, con una precisa popolazione e affidata alla cura di un proprio pastore. la parrocchia doveva avere dei confini precisi; bisognava che essa non fosse troppo grande perché il parroco potesse conoscere i suoi parrocchiani.
Nella realtà contemporanea la situazione è rimasta eguale a quella di Trento; il vigente Codice di Diritto canonico predica infatti al can. 216, par. I:”Territorium cuiuslibet diocesis dividatur in distinctas partes territoriales; unicuique autem parti sua peculiaris ecclesia cum populo determinato est assignanda, suusque peculiaris rector, tamquam proprius eiusdem pastor, est perfigiendus pro necessaria animarum cura”.
Da questo breve excursus storico possiamo notare come la parrocchia nel corso della storai della chiesa si sia trasformata (in bene o in male) secondo il mutare del contesto sociale: possiamo dire che la storia della parrocchia rifletta la storia della chiesa; la struttura parrocchiale è una comunità in movimento, in continua ri – creazione; è una struttura dinamica e pluriforme (cfr. A. Mazzoleni, L’evangelizzazione nella comunità parrocchiale, Alba, 1973, p. 63). Viene pertanto da chiedersi: l’attuale struttura parrocchiale è adeguata all’attuale società, così diversificata, pluralista, in continua trasformazione? Cercheremo di rispondere con le riflessioni seguenti.
Limiti dell’attuale situazione della parrocchia – È doveroso premettere che la presenza della parrocchia nella società contemporanea vive gli stessi problema che incontra la proposta cristiana di fronte alla cultura attuale: difficoltà a far breccia in una diffusa mentalità edonistica, protesa al consumismo, alla ricerca di soddisfazioni materiali, all’affermazione egoistica delle esigenze dell’individuo nei confronti di valori sociali o comunitari; questo significa per la parrocchia essere vittima di un’indifferenza diffusa: la gente passa davanti alla chiesa, ma non ha alcun interesse per quello che avviene dentro ad essa. Inoltre ambiti una volta gestiti dalla chiesa, in quanto le appartengono di diritto o sono da essa gestiti in modo supplente o sono passati nella sfera della società civile: basti pensare a molte strutture educative (asili, scuole, …), all’utilizzazione del tempo libero (i membri delle famiglie, dopo essere occupati per tutta la settimana in attività lavorative, trascorrono il week-end fuori città; i giovani hanno molti più luoghi di divertimento che li allontanano dai tradizionali oratori), alla scuola a tempo pieno che crea problemi per la frequenza dei ragazzi ai momenti formativi proposti dalla parrocchia. La parola da parte sua è sempre più incapace di incidere nel tessuto sociale, sia per i motivi culturali appena esposti, sia per l‘impossibilità di arrivare a tutte le persone: scarsezza di clero, aumento smisurato della popolazione nei centri urbani sono le cause sociologiche più vistose. Questo porta al ben noto fenomeno della riduzione delle parrocchie a centri di ‘sacramentalizzazione’: la gente si rivolge alle parrocchie per ricevere i sacramenti nodali della vita di una persona (matrimonio, battesimo per i figli, …) o per ascoltare una veloce messa domenicale.
Ma le cause della crisi sono da ravvisarsi nella maggior parte nei grossi rivolgimenti sociali dell’era post – industriale: la mobilità della popolazione crea per la parrocchia l’impossibilità di conoscere molti dei suoi abitanti o comunque a portare avanti un discorso continuo; da parte del fedele questo comporta uno sradicamento delle proprie culture, tradizioni, mentalità, … (lo si nota soprattutto nel caso del meridionale che arriva nelle grosse periferie del Nord Italia). Bisogna poi tener presente che la gente vive la maggior parte della giornata sul luogo di lavoro, il più delle volte lontano decine di chilometri, e ritorna a casa solo di notte (basti pensare alle sterminate periferie – dormitorio): questo fa sì che non ci sia possibilità di contatto con le strutture del quartiere e quindi anche con la parrocchia. dobbiamo poi considerare che, anche qualora la parrocchia possa raggiungere fisicamente le persone, nella stragrande maggioranza dei casi non è in grado di dire alcunché intorno ai grossi problemi della vita (lavoro, cultura, scuola,. politica, …), problemi che si giocano in altri ambiti, né a formare una coscienza di fede intorno a tali problemi (testimonianza cristiana sul luogo di lavoro o in scuola, rapporto fede / cultura, …).
Queste considerazioni fanno comprendere come il principio territoriale debba essere ridimensionato . “pur riconoscendo con i migliori sociologi, che l’habitat resterà sempre una delle componenti della vita familiare, giustificante perciò la presenza di strutture territoriali come la parrocchia attuale, si può anche prevedere, per il prossimo futuro, la massiccia apparizione di strutture del tutto differenti” (A. Mazzoleni, op. cit., p. 64). Ciò porterà alla creazione di parrocchie sotto forma di centri di accoglienza, di comunità ecumeniche, di centri catecumenali post battesimali, di ogni altra esperienza che la libertà e la creatività cristiana saranno in grado di inventare. ma queste considerazioni introducono anche un altro argomento: quello delle comunità d’ambiente.
L’ambito parrocchiale resta comunque il punto di riferimento di tutta l’organizzazione ecclesiale, cui il cristiano finisce con l’approdare per educare i suoi figli e per animare la vita del quartiere, ambiente non più esclusivo, ma comunque dominante: i movimenti hanno il grande ruolo di suscitare una presenza missionaria in ambiti nei quali la parrocchia non può arrivare.
Una questione particolare: il consiglio pastorale diocesano – Questa istituzione ha suscitato interesse al suo sorgere (anni ’68 – ’70) in quanto sembrava che potesse permettere a una democrazia di tipo parlamentare di entrare nella struttura ecclesiastica (grazie anche a certi meccanismi quali le votazioni, l’assemblea, …); in realtà i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative Certe difficoltà sono sorte a causa di una impreparazione del clero, abituato a gestire la parrocchia come un piccolo regno, di una indifferenza del laicato o di una sua diffidenza nei confronti dei sacerdoti, nel timore di essere da loro strumentalizzati; per di più si è domandato a questo organismo la soluzione di problemi che sono invece da situarsi a livello di evangelizzazione, di missione nel quartiere, di reale vita di comunione. “Nonostante queste reali difficoltà bisogna prendere atto che i consigli parrocchiali segnano una svolta decisiva nei rapporti clero – laici, e il cammino è solo iniziato: troppo notevoli erano le distanze per credere di aver già ottenuto un risultato soddisfacente” (A. Mazzoleni, Le strutture comunitarie della nuova parrocchia, Roma, 1972, p. 104). siamo concordi con A. Mazzoleni (op. cit.) nel ravvisare due aspetti nella funzione del consiglio parrocchiale:
a) rappresentatività della comunione e dell’unità della comunità locale, pur senza esautorare la funzione di ogni associazione, gruppo o persona;
b) partecipazione alla vita della comunità e tramite essa alla missione della chiesa attraverso una partecipazione alla direzione della comunità.
Finalità del consiglio parrocchiale è quella di riflettere sulla vitalità della parrocchia, sulle esigenze dei singoli membri o dei gruppi che la compongono onde promuovere e programmare iniziative o favorire quelle già esistenti atte ad accrescere o a suscitare un autentico cammino di conversione dei singoli fedeli attraverso la crescita di tutta la comunità cristiana.
Bibliografia – Aa. Vv., “Come conoscere la propria parrocchia”, in Orientamenti pastorali, n° 18 (1970), pp. 151 – 164; Aa. Vv., “La parrocchia ieri e oggi”, in Letture di sociologia, Roma, 1967; Aa. Vv., La pastorale della città, Bologna, 1969; G. Brunetta, “La parrocchia in Italia”, in Aggiornamenti sociali, 21 (1970), pp. 151 – 164; C. Dillenschneider, Il parroco e la parrocchia Ministero e pastorale, Bologna – Napoli, 1966; Houtart, “Sociologie de la Paroisse comme assemblée eucharistique”, in Social Compass, 1 (1963), pp. 75 – 91; G. Locatelli, La pastorale dopo il Concilio, Milano, 1967; A. Mazzoleni, “Il parroco educatore della coscienza nella sua comunità”, in Presbiteri, 8 (1973), pp. 616 – 632; Id., La struttura comunitaria della nuova parrocchia, Roma, 1972; G. Oggioni, “Riflessione sul problema dei consigli pastorali” in Ambrosius, 4 (1970), pp. 208 – 214; A. Tessarolo, I consigli parrocchiali, Bologna, 1969.